Sull’autobus 21, di sera, che poi adesso con l’ora solare anche alle sei e mezzo sembra sera, c’è una donna con la frangetta bionda sui sessant’anni con una lattina di birra in mano. E’ vestita come si vestivano i giovani quarant’anni fa: scarpe da tennis, jeans stretti e corti alla caviglia, maglione di lana abbondante, giacca di velluto, un foulard indiano avvolto intorno al collo. I suoi occhi ogni tanto diventano rossi e si bagnano, ma un sorso di birra veloce tiene quelle lacrime aggrappate lì alle palpebre, sulle labbra che si serrano. L’arzilla vecchietta di San Donato è seduta di fronte a lei, la guarda, vorrebbe dirle qualcosa ma incrocia lo sguardo duro della donna e tace. Avrà perso qualcuno? Avrà perso qualcosa? E’ un dolore che non passa o solo un brutto momento? Rimane con le sue domande sospese mentre una coppietta laggiù, lui un gigante di due metri con due scarponi imbottiti, rossi dello stesso rosso del cappellino con la visiera calata sulla nuca pelata e tatuata, e lei piccolina, aggrappata alle sue braccia nude, fa sapere a tutti che sono felici ma di una felicità arrabbiata, come quella di certi uomini e donne che vanno in tv per innamorarsi. Alzandosi per scendere, rivolta a una signora che legge l’ultimo libro di Camilleri “È una pidemia” dice l’arzilla vecchietta di San Donato “quescta volta non sciò mica sce lo trovano il vacino”. La porta si apre e il buio di via Beroaldo la inghiotte con la sua sporta da cui spunta un cespo di sedano bianco, mentre sull’autobus 21 rimane un alito pesante di disperazione.
L’arzilla vecchietta e l’epidemia
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Un’epidemia di disperazione che nasce dal virus della paura. E si aggrava con la solitudine.
Invisibile, diffusa, profonda…
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Già, personaggio…è proprio come dici tu. Nasce dal virus della paura e dalla solitudine. Questo blog, a modo suo, cerca un antidoto…
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